Pagine Zen 132

gennaio / aprile 2024
Anziano del clan Nabeshima. Rotolo verticale dipinto a inchiostro e colori su seta. Si distingue l’impugnatura della spada, alla quale si accompagna un ventaglio nella mano destra. Opera di scuola Tosa databile tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo
Sommario
  • 苗 Miao Costumi e gioielli dalla Cina del Sud
  • Hagakure Una nuova ideologia per i samurai di Edo
  • 正名 Zhèngmíng Rettifica dei nomi
  • Colori e design dal Giappone Un percorso tra arte, storia e letteratura
  • Daoyin L’antica arte cinese della salute e della longevità
  • Il tatuaggio punitivo in Cina e in Giappone
  • La lacca rossa intagliata al Museo d'Arte Orientale di Venezia. Dalla Cina al Giappone
  • Hwang Chini, Hŏ Nansŏrhŏn e Shin Saimdang Tre poliedriche artiste coreane del periodo Chosŏn
  • Shōbōgenzō Zuimonki Eihei Dōgen, Discorsi informali
  • "Onibaba" di Rossella Marangoni Il mostruoso femminile nell’immaginario giapponese
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Giappone e montagne (seconda e ultima parte)

Scritto da Marianna Zanetta -
Giappone e montagne (seconda e ultima parte)

Quanto detto nella prima parte di questo saggio è necessario per comprendere la portata ideologica di alcune affermazioni e i rischi di leggere in modo astorico e acritico certe dichiarazioni programmatiche. Sono anche un punto di partenza importante per poter guardare con occhi diversi alle montagne giapponesi, quelle immense fonti di paura, reverenza e venerazione che popolano l’immaginario religioso nipponico. Come già ricordava Raveri nei suoi testi (2006, 2013), il Giappone è popolato di innumerevoli montagne sacre a cui si richiamano diverse tradizioni. Tra queste, trovo giusto ancora una volta partire da uno dei simboli più importanti, penetrato ampiamente nella cultura pop e nell’immaginario internazionale: parlo ovviamente del monte Fuji che, con 3.776 metri di altezza si attesta come la montagna più alta del Giappone...

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Pagine Zen 131

settembre / dicembre 2023
Katsushika Hokusai, “Montagne su montagne”, da “Cento vedute del monte Fuji”, 1834.
Sommario
  • Giappone e montagne (seconda e ultima parte) Sacralità, inclusione e alterità
  • 關 (関) KAN, seki Sbarra di legno usata per chiudere la porta, barriera, limite, chiudere
  • Mostri femminili I tanti volti delle sirene giapponesi
  • Scuola Ohara L'ikebana tra antiche tradizioni e nuove prospettive
  • Ninja: il volto nascosto Dipanare la nebbia che avvolge i guerrieri ombra del Giappone
  • Bagliori dorati Lacche giapponesi del Museo d'Arte Orientale di Venezia
  • Cina La carta e i libri senza carta
  • Teatro coreano La suggestiva arte del P’ansori
  • Sotto l’ombrello a Tokyo Frammenti di vita giapponese
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Giappone e montagne (prima parte)

Scritto da Marianna Zanetta -
Giappone e montagne (prima parte)

Natura e sacro sono due termini che vengono spesso accostati quando si parla di cultura giapponese. In particolare le montagne, yama (che costituiscono più del 70% del territorio nipponico) sono state e sono tuttora oggetto di culto, di adorazione e di fascinazione. Le montagne giapponesi sono territori sacri, dove l’essere umano non dovrebbe permettersi di entrare; sono la dimora del soprannaturale in tutti i suoi aspetti, e raccolgono alle loro pendici tutti i vari spiriti e spettri di varia potenza e indole. Numerosi sono i culti e le correnti che ruotano attorno alla sacralità della montagna, dallo Shugendo a varie pratiche delle scuole buddhiste.

Tuttavia, quando parliamo di natura e sacro in Giappone siamo spesso vittime di un immaginario ereditato da decenni di ideologie, che hanno volutamente rimosso alcune dinamiche culturali e storiche e si sono spesso mescolate a riflessioni duramente nazionalistiche. Dobbiamo allora guardare a questa relazione con occhi nuovi, per poterne assaporare con più piacere le sfumature e le trasformazioni. Per farlo, dobbiamo procedere per piccoli passi...

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Pagine Zen 130

maggio / agosto 2023
Eiheiji (1244), il tempio di Dōgen.
Sommario
  • La Via del Buddha secondo Dōgen
  • 道生一 Il dao produce l'Uno Godere le arti
  • Sadayakko, la Duse del Giappone Cronache della prima tournée di teatro giapponese in Italia (1902)
  • Yukio Mishima: “Abito da sera”
  • La banalità del bello Estetica ed etica nella poetica haiku
  • Giappone e montagne (prima parte) Sguardi, potere e alterità
  • Eroi della Corea L’invincibile ammiraglio Yi Sun-sin (1545-1598)
  • Flora Japonica Franz Von Siebold, Kawahara Keiga e la classificazione scientifica della natura
  • Yan Geling Autrice tra due mondi
  • Saigoku Il pellegrinaggio giapponese dei 33 templi
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Ikkyū Sōjun

Scritto da Ornella Civardi -
Ikkyū Sōjun

Tutti i culti, in tutte le epoche, tendono a evolvere secondo due direttrici, una ortodossa e istituzionale, propugnata dal clero che vi fonda la propria autorità e ne rivendica la trasmissione, e una più irregolare, individuale, mistica, che in genere si fa portatrice di una forte carica trasgressiva, sia verso il potere costituito sia nei confronti del senso comune. Proprio in virtù di questo slancio sovvertitore, spesso è accaduto che alle tradizioni eterodosse si associasse l’immagine della follia. In Russia chiamavano jurodivyj (pazzi in Cristo) quegli asceti laceri e sporchi che per le loro capacità di veggenti potevano permettersi di rimbeccare anche gli zar. In Tibet, i nyönpa (pazzi) erano mistici che perseguivano la Via dell’illuminazione al di fuori delle regole e delle pratiche degli ordini monastici, spesso infrangendo tabù legati al cibo o al sesso.

Anche lo zen giapponese ha il suo nyönpa. Si chiama Ikkyū.

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Pagine Zen 127

maggio / agosto 2022
Endo Genkan. Chanoyu hyōrin (vol. 2). Ed. Izumiya Yamaguchi Mohē, Kyoto 1697. Particolare.
Sommario
  • Chabana Il cuore dei fiori per la cerimonia del tè
  • Fenice 鳳
  • La poesia senza tempo di Li Quingzhao 李清照
  • Il chōken del Museo d’Arte Orientale di Venezia
  • L'illuminazione esiste solo nella dimensione dell'illusione
  • Alla moda di Edo L’abbigliamento maschile nel Giappone di periodo Tokugawa
  • I mostri del notturno giapponese
  • La sublime delicatezza della pittura coreana
  • Lo Shintō, la donna, la miko.
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L’illuminazione esiste solo nella dimensione dell’illusione

Scritto da Aldo Tollini -
L’illuminazione esiste solo nella dimensione dell’illusione

Parlando di “illuminazione” il maestro zen Dōgen, nel capitolo "Yuibutsu yobutsu” (Solo un Buddha e con un Buddha) dello Shōbōgenzō fa una affermazione apparentemente sconcertante:

…l'illuminazione si basa soltanto direttamente sulla forza stessa dell'illuminazione. Si sappia che non esiste illusione, ma si sappia anche che non esiste illuminazione.

Questa affermazione ci induce a fare delle riflessioni su cosa sia il satori 悟りo “illuminazione” e se la Via dello Zen sia davvero, come si continua a ripetere, il mezzo per realizzarla. Si pensa e si scrive che lo scopo ultimo dello Zen sia quello di portare i praticanti, attraverso un percorso di pratica e di regole di comportamento alla realizzazione spirituale più elevata, alla saggezza, insomma all’illuminazione, chiamata anche realizzazione, o liberazione: realizzazione del proprio vero sé, o liberazione dai vincoli imposti dal proprio io illusorio.

L’affermazione di Dōgen, probabilmente il maggior maestro giapponese di questa scuola, quindi personaggio di grande autorevolezza, può, quindi, sorprendere quando afferma, come di fatto fa in varie occasioni, che una cosa come l’illuminazione non esiste, sebbene, però, spesso parli anche di “ottenimento dell’illuminazione” o di “perseguimento dell’illuminazione”.

Tuttavia, scrive anche...

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Pagine Zen 126

gennaio / aprile 2022
Rielaborazione da: Yōshū (Hashimoto) Chikanobu (1838–1912), “Nihon shinnō onna sannomiya (La Terza Principessa e Kashiwagi, dal cap. 34 del Genji monogatari)”, xilografia formato trittico, particolare, 1890, MET New York, OA , pubblico dominio.
Sommario
  • Una raffinata eleganza L’abbigliamento maschile di corte nel Giappone di epoca Heian
  • Tansei Kimei 天晴地明 Se il cielo è sereno, la terra è illuminata
  • Miyamoto Musashi Il lato spirituale del combattimento
  • Meisho d'oltremare Vedute del Lago Occidentale
  • Attraversando la letteratura Song
  • T'al, T'allori e T'alch'um La dimensione ritualistica delle maschere coreane
  • Il gioco del Go La sua diffusione
  • Fantasmi e guerrieri Giustizia e vendetta nell’immaginario giapponese
  • Il Tè Dalla Cina: storia, leggenda, estetica (seconda e ultima parte)
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Pagine Zen 124

maggio / agosto 2021
Grotte di Mogao, nei pressi di Dunhuang (prov. di Gansu, Cina) dove sono stati reperiti molti testi risalenti al periodo Tang.- fonte chinadaily.com.cn
Sommario
  • Alla ricerca della mente originaria nel Buddhismo Chán di epoca Tang
  • Illuminazione originaria 本覚 e acquisita 始覚
  • Tra musica e zen La fioritura del flauto shakuhachi
  • Uniformi e corsetti alla corte del Crisantemo Adozione e adattamento della moda vittoriana nel Giappone Meiji
  • Bonsai Il maschile e il femminile
  • Daruma Da monaco a fanciulla
  • Ainu Spiritualità di un popolo
  • Tra antenati e legami perduti Incontri con le itako del Tōhoku (seconda e ultima parte)
  • Giappone Storie di una nazione alla ricerca di se stessa. Dal 1850 a oggi
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Daruma. Da monaco a fanciulla

Scritto da Veronica Gambilare -
Daruma. Da monaco a fanciulla

Dal significato del nome al luogo di nascita, la figura del monaco straniero, primo patriarca del buddhismo chan in Cina e zen in Giappone, è stata oggetto sin dalle origini di mistificazioni, confusioni e vivaci interpretazioni. Con il passare degli anni e poi dei secoli, gli aneddoti e i fatti più o meno realistici, vennero mescolati tra loro e diffusi sia dalla cultura popolare che dalla frangia più colta e consapevole della società cinese e giapponese. Conosciuto come Putidamo 菩提达摩 o Damo in Cina, Boridalma 보리달마 o Dalma in Korea, e BodaiDaruma 菩提達磨, o Daruma 達磨 in Giappone, Bo-dhi-dha-rmo-tta-ra in Tibet, la sua influenza arrivò anche in Vietnam. Considerato dagli orientali come avatar e arhat del bodhisattva Avalokiteśvara, venne confuso per molto tempo dai monaci missionari cristiani con San Tommaso. Secondo alcuni scritti, il monaco sarebbe...

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Dalla necessità alla bellezza

Scritto da Rossella Marangoni -
Dalla necessità alla bellezza

Una lampada il cui paralume è fatto con carta washi riutilizzata più volte e già scritta, uno shōji riparato con ritagli di carta a forma di fiore, oggetti trasportati con un quadrato di stoffa capace di sostituire qualsiasi borsa, il furoshiki, il manto di un abate o la veste di un monaco fatta di pezzi di tessuto cuciti insieme: cos’hanno in comune? All’origine di questi manufatti c’è il riutilizzo, l’assenza di sprechi, in una parola: mottainai.

Se nella prima parte di questa “indagine” attorno al concetto di mottainai mi ero soffermata sui presupposti di carattere spirituale della parsimonia in Giappone, ora vorrei concentrarmi su quelle che chiamo volentieri le radici pragmatiche di mottainai.

E dove individuarle se non nella vita dura e difficile delle comunità contadine nelle campagne giapponesi?

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